L'ascesa al trono del Regno di Sardegna di re Vittorio Emanuele II di Savoia (1849) fu un elemento decisivo per l'Unità d'Italia, grazie all'appoggio da parte di Cavour su cui questi potè contare. Si colloca in quegli anni la vicenda politica del cittadino catignanese Luigi de Flammineis. L'Abruzzo era annesso al Regno delle due Sicilie e diviso in tre province. Catignano faceva parte della provincia dell'Abruzzo Ulteriore Primo, vale a dire quella di Teramo, e nel secondo distretto di cui era Intendente la Città di Penne.
Luigi, nato a Catignano nel 1802 dalla nobile famiglia de Flammineis di origine spagnola (di Saragozza), era padre di otto figli avuti dalla gentildonna Marianna Monaco (1812-1894), apparnenente ai carbonari catignanesi e successivamente affiliato, come egli stesso non ha mai negato, ai mazziniani della Giovane Italia.
La figura del de Flammineis nei libri è stata sempre spiegata con poche righe. Molti sanno, infatti, che era stato protagonista a Catignano dello scioglimento della Guardia Urbana assumendo il ruolo di Capitano Comandante della Guardia Nazionale (1851). Pochi - se non nessuno - hanno approfondito le ragioni di tale evento, che comportò l'incarcerazione del de Flammineis fino al 1860 presso le carceri dell'isola di Ponza su decisione della Gran Corte Criminale di Teramo.
Nell'anno successivo alla sua scarcerazione (1861) ci ha lasciato un memoriale, "Il martirio politico di Luigi de Flammineis", edito dalla Stamperia del Vaglio di Napoli, in cui racconta il susseguirsi delle sue vicissitudini precisando di scrivere non per difendersi bensì per un vero e proprio atto d'accusa nei confronti di chi lo rese una vittima. Non teme di menzionare nomi e cognomi di militari, giudici e politici dell'epoca che, ognuno per le proprie funzioni, contribuirono alla sua incarcerazione e, appurata e accertata la verità, non fecero nulla per liberarlo. Accusa queste personalità ed istituzioni di "perversità" e di "subalternità" all'allora re del Regno Borbone Ferdinando II. Dipinge un quadro di corruzione e sudditanza a Ministri e regnanti, da parte dei militari e della magistratura dell'epoca, alla luce delle quali si palesano forti, dalle sue parole, i principi di cui era portatore: quelli di uno stato repubblicano, di libertà e giustizia per tutti.
Ma torniamo all'episodio che costò al de Flammineis l'incarcerazione. Nel 1851 fu accusato per aver costretto con la violenza l'allora Sindaco, Don Tommaso Cieri, ad abbandonare le proprie funzioni; di aver usato violenza contro la Guardia Urbana, di averla sciolta e trasformata in Guardia Nazionale; di aver usurpato il titolo di Capitano della Guardia Nazionale; di aver cospirato, agitando gli animi dei catignanesi, nei confronti dell'autorità del re. Una serie di documenti intercorsi tra le autorità militari e giuridiche, riportate nel memoriale, provano tali accuse dipingendolo come un anarchico ed un "settaro" affiliato a sette che "sospiravano la indipendenza d'Italia e giuravan fondarla". La vicenda non sembra essere andata così, come testimonia un verbale a firma di numerosi e nobili signori dell'epoca (Marsili, Almonte, Masci, Deioannes...). Il Sindaco Cieri, vista una sommossa popolare sorta in paese, fu prima consigliato di lasciare le sue funzioni da più cittadini, tra cui il de Flammineis, poi destituito dal Giudice del Circondario. Lo stesso avvenne col Capo della Guardia Urbana, fu lo stesso Giudice ad assumerne il comando. Esiste un rapporto da parte del Giudice in questione che rappresentava gli eventi per com'erano andati, ma non fu mai allegato agli atti del processo. Lo stesso avvocato del de Flammineis non conosceva il verbale. Il libro si completa con la narrazione della sua prigionia, la caratterizzazione dei buoni e cattivi amici di cella che ha avuto negli anni, il processo nella prefettura di Napoli. È forse questa la parte più minuziosa del suo memoriale. Nel 1855 fu concessa a molti incarcerati l'"indulgenza sovrana", una sorta di indulto che saldava le pene residue. Il de Flammineis chiese ed ottenne facoltà di rimanere a Ponza poichè era quasi giunto il giorno della sentenza definitiva sulla sua pena ed era assai fiducioso. Il 17 marzo di quello stesso anno fu completato il processo che lo "restituiva in residenza" poichè lo liberava. Il 24 marzo venne trasferito a Napoli per tornare a Catignano, ma si vede nuovamente incarcerato presso la Polizia cittadina assieme ad altro uomo che nel frattempo aveva conosciuto e col quale era diventato amico. Dopo più di un giorno senza conoscere il motivo della sua permanenza in cella, iniziò a realizzare che l'amicizia con quest'uomo era forse la ragione delle sue ultime disgrazie. Non si parlerà qui di quest'uomo. Non accuseremo su queste colonne dei defunti (pace all'anima loro!) per portar gloria a un nostro concittadino. Fatto sta che sino all'intervento del primogenito di de Flammineis, Alessandro, il quale riuscì a far avere "per regolari canali" i documenti della scarcerazione del padre al Procuratore Generale di Napoli, il nostro concittadino non sarebbe potuto tornare a fine del 1860 nel bel paese natìo.
Testi Chiara Cesarone da “Pia.Ce & dintorni”