Immersa nella quiete di una piccola altura a pochi chilometri
dal paese di Catignano (Pe), si staglia solenne e candida la facciata della
chiesa, un tempo intitolata alla Natività di Maria Santissima. L’edificio, che
trattiene ancora in se tante tracce del suo passato, ha una storia lunga ben
nove secoli. Esso sorge in un luogo che, dalle ricerche e dalle indagini
storico-archeologiche, sembrerebbe corrispondere a quello dove anticamente era
situata la città di Cutina. La città, menzionata da Tito Livio nella sua storia
di Roma, venne distrutta insieme alla vicina Cingilia, nel corso delle Guerre
Sannitiche tra IV-III secolo a. C. Nulla sappiamo di certo su queste due
misteriose località, delle quali non sono ancora state scoperte le tracce. Se
fosse vero che Cutina sorgeva in questo territorio, allora torniamo come al
solito ad imbatterci in un edificio cristiano realizzato sul sito di un’antica
città pagana. Le forme attuali della chiesa, insieme al pochissimo che rimane
delle strutture del vecchio convento, inglobate in una serie di costruzioni
recenti, rivelano nelle soluzioni architettoniche e decorative elementi
riferibili al periodo medioevale. Le forme dell’ornato, i materiale e
l’architettura, sono quelli tipici del Romanico abruzzese.
La chiesa ed il monastero, secondo quanto si ricava dagli
indizi cronologici delle fonti scritte, vennero realizzati dai benedettini tra
l’XI ed il XII secolo. Le prime menzioni sono infatti contenute nel Chronicon
dell’abbazia di San Bartolomeo di Carpineto della Nora, testo in cui sono
raccolte notizie storiche e documenti relativi all’abbazia e ai suoi
possedimenti dal 962, anno di fondazione, al 1217. Tra le carte si fa
riferimento ad almeno due chiese dedicate a Maria esistenti in quel periodo a
Catignano. Probabilmente ad una di queste, tra il XII ed il XIII secolo, è
stata modificata la dedicazione in Natività di Maria Santissima.
Molte e complesse sono le vicende costruttive che hanno interessato il monumento nel corso dei secoli, tutte per lo più legate ad importanti episodi che ne hanno segnato la storia dal Medioevo fino ai giorni nostri. La chiesa, che nel 1950 è stata dichiarata Monumento Nazionale, come molti altri gioielli dell’arte medievale abruzzese ha subito una serie di drastici rimaneggiamenti che, per certi versi, impediscono l’indagine e la lettura critica di tutte le sue componenti. Durante un restauro, effettuato tra gli anni ’40 e ’50 del secolo scorso, buona parte dell’ambiente interno è stato liberato dai rivestimenti dell’epoca moderna. La copertura a volte venne sostituita con un tetto a capriate ed i pilastri cilindrici in mattoni vennero ripuliti dal rivestimento più tardo che dava loro una forma quadrangolare.
Molte delle notizie sulla storia di questo monumento ci sono state riferite da Padre Antonio, “memoria storica” di questo luogo dalla sua rinascita, nel primo trentennio del Novecento, ad oggi. Alcune ricerche sulla chiesa e sui documenti ad essa correlati sono state effettuate da una serie di personaggi del posto, affascinati dalla bellezza del luogo sacro. Tra questi l’illustre pittore locale Giovanni Pittoni, Padre Carmine Perrone e Franco Cieri. Quest’ultimo, nel 1997, ha pubblicato un opuscolo contenente una serie d’interessanti appunti scritti da suo padre Guido nel 1946. Nel testo si dice che all’epoca «L’abside era tutta dipinta. Due grossi santi bizantineggianti sono situati a destra ed a sinistra della finestra, allargata, di troppo, in epoca posteriore» (Guido Cieri, Scoperta di una chiesa romanica a Catignano, Penne 1997). Attualmente purtroppo l’abside risulta spogliata dal suo rivestimento e le pareti nude, con pietre e mattoni a vista, sono oramai prive dell’antica decorazione pittorica. Nonostante le perdite ed i cambiamenti subiti, questo affascinante monumento mantiene ancora intatto il suo arcaico splendore.
Molte e complesse sono le vicende costruttive che hanno interessato il monumento nel corso dei secoli, tutte per lo più legate ad importanti episodi che ne hanno segnato la storia dal Medioevo fino ai giorni nostri. La chiesa, che nel 1950 è stata dichiarata Monumento Nazionale, come molti altri gioielli dell’arte medievale abruzzese ha subito una serie di drastici rimaneggiamenti che, per certi versi, impediscono l’indagine e la lettura critica di tutte le sue componenti. Durante un restauro, effettuato tra gli anni ’40 e ’50 del secolo scorso, buona parte dell’ambiente interno è stato liberato dai rivestimenti dell’epoca moderna. La copertura a volte venne sostituita con un tetto a capriate ed i pilastri cilindrici in mattoni vennero ripuliti dal rivestimento più tardo che dava loro una forma quadrangolare.
Molte delle notizie sulla storia di questo monumento ci sono state riferite da Padre Antonio, “memoria storica” di questo luogo dalla sua rinascita, nel primo trentennio del Novecento, ad oggi. Alcune ricerche sulla chiesa e sui documenti ad essa correlati sono state effettuate da una serie di personaggi del posto, affascinati dalla bellezza del luogo sacro. Tra questi l’illustre pittore locale Giovanni Pittoni, Padre Carmine Perrone e Franco Cieri. Quest’ultimo, nel 1997, ha pubblicato un opuscolo contenente una serie d’interessanti appunti scritti da suo padre Guido nel 1946. Nel testo si dice che all’epoca «L’abside era tutta dipinta. Due grossi santi bizantineggianti sono situati a destra ed a sinistra della finestra, allargata, di troppo, in epoca posteriore» (Guido Cieri, Scoperta di una chiesa romanica a Catignano, Penne 1997). Attualmente purtroppo l’abside risulta spogliata dal suo rivestimento e le pareti nude, con pietre e mattoni a vista, sono oramai prive dell’antica decorazione pittorica. Nonostante le perdite ed i cambiamenti subiti, questo affascinante monumento mantiene ancora intatto il suo arcaico splendore.
In una bolla di Papa Gregorio XIII, datata 1579, è
testimoniato l’affidamento del convento e della Chiesa ai padri cappuccini
della Provincia d’Abruzzo, intitolata a San Bernardino da Siena. Per almeno
altri due secoli il convento e la chiesa vennero retti da quella comunità
monastica fino a che, con le leggi nazionali del 1866 e del 1867, tutte le loro
proprietà passarono al demanio dello Stato. Per molti anni il monumento rimase
in un totale stato di abbandono. Negli anni ’30 del Novecento un gruppo di
padri amigoniani, provenienti dal convento di Fara San Martino, decise di
stabilirsi in quel luogo solitario con il desiderio di farlo rivivere,
recuperando dal degrado la chiesa ed il convento. La cerimonia d’inaugurazione
avvenne il 24 maggio del 1936, come ci ha riferito Padre Antonio che partecipò
a quell’evento e che ancora oggi vive nel monastero. Nel 1847 al convento dei
Cappuccini vennero donate le reliquie di Santa Irene, martirizzata tra il III
ed il IV secolo d. C. Le reliquie, rimosse dalle catacombe di Priscilla a Roma
nel 1802, vennero affidate a padre Enrico da Catignano il 4 ottobre del 1834.
Il corpo della Santa e parte del corredo funerario, tra cui
una piccola coppa con il sangue, furono trasportati in treno da Roma a
Cittaducale e da qui i fedeli la condussero a piedi fino a Catignano. Ancora
oggi le reliquie sono custodite in una cappella laterale della chiesa, insieme
ad una statua della Santa e ad una lastra marmorea con il suo nome, anche
questa proveniente dalle catacombe. Nel corso degli anni il santuario è
divenuto un luogo di pellegrinaggio e di grande devozione per i fedeli che
festeggiano alla fine di giugno la traslazione delle reliquie.
Attualmente l’aspetto medievale dell’edificio è in buona parte perduto, ma restano eccezionali indizi materiali del suo originario splendore. L’interno è quello tipico delle chiesette romaniche, con lo spazio scandito in tre ampie navate, divise da due file di grossi pilastri cilindrici. Dalle piccole finestrelle laterali entra una luce fioca che avvolge nella penombra l’ambiente, raccolto in un sereno silenzio.
Attualmente l’aspetto medievale dell’edificio è in buona parte perduto, ma restano eccezionali indizi materiali del suo originario splendore. L’interno è quello tipico delle chiesette romaniche, con lo spazio scandito in tre ampie navate, divise da due file di grossi pilastri cilindrici. Dalle piccole finestrelle laterali entra una luce fioca che avvolge nella penombra l’ambiente, raccolto in un sereno silenzio.
Qui gli unici elementi decorativi sono nelle forme vegetali
che arricchiscono gli angoli e le facce dei tozzi capitelli.
All’esterno si trova invece uno splendido portale che, seppure frutto di una confusa ricomposizione, mostra elementi decorativi in cui trionfa tutta l’eleganza e la perizia dei maestri lapicidi abruzzesi. Sulle facce interne degli stipiti laterali, sono presenti alcuni graffiti con simboli legati alle credenze religiose popolari, come quelli detti “sandali del pellegrino”.
Di particolare interesse è poi la statuetta lapidea nello
spazio interno della lunetta. L’opera è stilisticamente riconducibile alla
produzione scultorea locale del XII-XIII secolo. Il soggetto rappresentato
dovrebbe essere quello della Vergine con il Bambino in braccio ma, vista
l’antica dedicazione della chiesa, potrebbe anche essere quello, meno consueto,
della Sant’Anna con la Vergine bambina.
Risulta anomalo il fatto che in una scultura destinata
all’ornamentazione esterna siano presenti, al centro delle vesti due incassi
per le pietre preziose, è pertanto possibile che in origine la destinazione
fosse interna all’edificio.
In questo periodo dell’anno, quando il frinire dolce e monotono delle cicale, lascia il posto all’armonioso fruscio delle foglie secche, tutti i suoni della natura riecheggiano nel pacifico silenzio del parco che circonda il convento. Uno spazio dove la quiete è solo di tanto in tanto interrotta dal lontano vocio proveniente dal paese e dal rumore delle pietruzze sotto il lento calpestio di Padre Antonio, che passeggia sul vialetto del giardino. Fermarsi qualche minuto a godere di una tale rasserenante atmosfera o trattenersi con l’anziano padre ad ascoltare la storia del santuario, può dare un valore impareggiabile alla visita di questo luogo.
In questo periodo dell’anno, quando il frinire dolce e monotono delle cicale, lascia il posto all’armonioso fruscio delle foglie secche, tutti i suoni della natura riecheggiano nel pacifico silenzio del parco che circonda il convento. Uno spazio dove la quiete è solo di tanto in tanto interrotta dal lontano vocio proveniente dal paese e dal rumore delle pietruzze sotto il lento calpestio di Padre Antonio, che passeggia sul vialetto del giardino. Fermarsi qualche minuto a godere di una tale rasserenante atmosfera o trattenersi con l’anziano padre ad ascoltare la storia del santuario, può dare un valore impareggiabile alla visita di questo luogo.
Testi di Luana Cicchella da Tesori d’Abruzzo “Santa Irene
Oasi di Pace e fede”
foto di Chiara Cesarone